Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile del 2008 hanno degradato il danno esistenziale a pregiudizio esistenziale, di fatto negando un’autonoma tutela a questa fattispecie. Difatti, la Suprema Corte avrebbe negato a questa voce l’ammissione incondizionata al risarcimento, al fine di “evitare un’abrogazione surrettizia” dell’art. 2059 c.c. che, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata, garantisce una tutela risarcitoria solo ai danni derivanti dalla lesione di un diritto inviolabile della persona.
Tale assunto non è propriamente condivisibile, in quanto il danno esistenziale è un pregiudizio personale che consiste in un autentico mutamento in pejus della qualità di vita dell’individuo. Il danneggiato è costretto a subire un’alterazione delle proprie abitudini sia all’interno sia all’esterno del proprio ambiente familiare. In particolare, a farne le spese sono i rapporti relazionali che gli erano propri, negando al soggetto leso la capacità di esprimere e realizzare la propria personalità nel mondo esterno. Chi è costretto a subire tale pregiudizio, in realtà, matura il diritto ad essere risarcito ai sensi dell’art. 2043 c.c. Quindi, le Sez. Un., che reputano il danno esistenziale risarcibile ai sensi dell’art. 2059, e sempre che sussista una lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, negano un’autonoma tutela di questa categoria di danno. In fin dei conti, è proprio l’art. 2 della Costituzione che apre ad un processo interpretativo evolutivo; questo significa che l’interprete deve necessariamente individuare nel sistema costituzionale degli elementi che permettano di valutare se nuovi interessi della società siano rilevanti sotto il profilo costituzionale. Insomma, tale chiusura della Suprema Corte appare alquanto contraddittoria poiché, come già detto, da una lato vengono limitate le garanzie a difesa di questa categoria di danno, e dall’altro viene accettata l’esistenza del pregiudizio esistenziale.