Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 25 settembre 2019 – 24 gennaio 2020, n. 1640
Il caso:
Una coppia di genitori cita in giudizio l’Azienda sanitaria ed i medici dell’Ospedale ove è stata praticata l’amputazione della gamba destra del figlio. La tesi risarcitoria farebbe leva su un presunto errore medico, tanto grave da aver imposto la recisione dell’arto inferiore del giovane ragazzo. Da qui la decisione di agire giudizialmente per ottenere il risarcimento del danno di natura morale patito dai due coniugi. La domanda viene accolta in Tribunale ma respinta in Corte d’appello, laddove i giudici ritengono impossibile presumere «il danno» da loro lamentato solo alla luce delle «lesioni» subite dal figlio e dalla «convivenza familiare» sotto lo stesso tetto. Di diverso avviso è la Corte di Cassazione, stabilendo che «il danno non patrimoniale consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di una persona lesa dall’altrui illecito può essere dimostrato ricorrendo alla prova presuntiva, tipicamente integrata dalla gravità delle lesioni – quali la perdita di un arto inferiore – in uno alla convivenza familiare strettissima, propria del rapporto filiale».