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Regole in caso di sinistro stradale:

Risarcimento da incidente mortale:soggetti legittimati a richiederlo

Chi è colpito da un lutto in famiglia è costretto a convivere con un profondo senso di vuoto e di impotenza. Il patimento morale che ne derivaè tutt’altro che trascurabile.

Sul come dovesse essere risarcito detto pregiudizio si sono succeduti diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali. Tuttavia, ogni apparente contrasto pare essere stato superato dall’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, le quali hanno infatti stabilito che:

(a) tutti i danni si dividono in due grandi categorie: patrimoniali e non patrimoniali;

(b) il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. ha natura omnicomprensiva ( cioè si è deciso di far confluire all’interno di un’unica voce -appunto danno non patrimoniale- tutte le singole sottovoci che un tempo venivano considerate separatamente;

(c) anche quando l’illecito non integri gli estremi di un reato, il danno non patrimoniale è sempre risarcibile nel caso di offesa a diritti della persona di rilievo costituzionale.

Insomma, la S.C. ha affermato che l’art. 2059 c.c. disciplina tutte le ipotesi di danno non patrimoniale, costituendo così una sola voce risarcibile. Da questa affermazione di principio discende che rientra nel concetto di “danno non patrimoniale” ogni sofferenza fisica, psichica o morale provata dai congiunti della vittima. Le conseguenze non patrimoniali che possono derivare dalla morte di una persona cara possono consistere:

(a) in una malattia fisica: in questo caso ci troviamo dinanzi ad una ordinaria ipotesi di danno alla salute, da accertare e liquidare in basea determinati criteri legislativamente previsti;

(b) nel dolore e nella sofferenza provocati dalla mancanza della persona cara;

(c) nella perdita dei benefici morali che il superstite ritraeva dalla compagnia del defunto: gli insegnamenti e l’educazione (si pensi al minore che perda un genitore); il diletto della vita comune (si pensi a chi perde un fratello, compagni di studi o di giochi); il sostegno morale (come nel caso della perdita del coniuge o del partner).

Di tutti questi pregiudizi il giudice deve tenere conto nella liquidazione, per quanto allegato e provato nel corso del giudizio.

Va detto che i soggetti legittimati a domandare il risarcimento sono i più stretti congiunti della persona defunta (coniuge, genitori, figli, fratelli, convivente more uxorio).

Quando il risarcimento è domandato da queste categorie di persone, la giurisprudenza non esige alcun tipo di prova sull’esistenza del pregiudizio. Il danno in questione è stato altresì riconosciuto, sulla base della sola prova presuntiva, anche al fratello (o sorella) unilaterale. Il risarcimento del danno non patrimoniale da morte è stato accordato anche al coniuge separato: “tuttavia in tal caso il giudice dovrà decidere se sussista o meno il danno in esame valutando non solo se al momento della morte sussistesse la possibilità di una eventuale riconciliazione, ma soprattutto le ragioni che avevano determinato la separazione, e ogni altra utile circostanza idonea a manifestare se e in quale misura l’evento luttuoso, dovuto all’altrui fatto illecito, abbia procurato al coniuge superstite quelle sofferenze morali che di solito si accompagnano alla morte di una persona più o meno cara.

Così, per fare un esempio, il risarcimento in questione potrà senz’altro essere riconosciuto al coniuge tradito ed abbandonato dall’altro, che risulti avere cercato di fare il possibile per salvare l’unione coniugale. Per contro, il danno in questione non potrà essere liquidato nei casi in cui la separazione, per le modalità in cui si è realizzata, risulti conflittuale e caratterizzata da acredine reciproca”.1

La giurisprudenza di merito si è inoltre mostrata favorevole a liquidare il danno morale da morte sulla base della sola prova presuntiva anche al nipote ex filio per la morte del nonno.

La giurisprudenza ammette che il risarcimento sia riconosciuto anche ad altri parenti, e pure se non conviventi, ma a condizione che dimostrino di essere legati alla vittima da un intenso vincolo affettivo. Convivenza e grado di parentela tra la vittima ed il superstite, cioè, costituiscono fatti noti sui quali si può legittimamente fondare una ragionevole presunzione, ex art. 2727 c.c., di esistenza del danno, ma ciò non vuol dire che in assenza di convivenza il danno debba escludersi in radice. E così a contrario: dal fatto noto della non convivenza è possibile risalire ex art. 2727 c.c. al fatto ignorato dell’assenza di sofferenza morale per la morte della vittima, ma ciò non toglie che l’attore (la persona che chiede il risarcimento) possa fornire la prova contraria.

Ovviamente anche in questo caso è ammesso il ricorso alla prova presuntiva, che però dovrà avere contenuto e spessore maggiore di quella richiesta per dimostrare la sussistenza del danno in capo ai congiunti più stretti.

In base a questi criteri è stato riconosciuto il risarcimento al nipote ex fratre per la morte dello zio, ed anche in favore del genero per la morte del suocero.

La risarcibilità del danno morale da morte è stata invece esclusa a fronte della lesione di un semplice rapporto di amicizia.

Il tema della risarcibilità del danno da morte in favore del convivente more uxorio (convivente non sposato) della vittima ha suscitato diversi contrasti in giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, il semplice convivente non avrebbe avuto diritto ad ottenere il ristoro dei danni subiti dall’uccisione del proprio compagno di vita, stando ad un secondo e più recente indirizzo, invece, tale risarcimento gli è assolutamente dovuto.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che “danno ingiusto”, ai sensi dell’art. 2043 c.c., non è soltanto la lesione di un diritto perfetto, ma anche la lesione di qualsiasi situazione di interesse “presa in considerazione dalla legge”.

La convivenza di fatto, è proprio il caso di dirlo, è “presa in considerazione” da molteplici disposizioni normative; si considerino, in particolare:

-) gli artt. 406 e 417 c.c., che consentono al convivente di domandare l’interdizione o la nomina di un amministratore di sostegno per il partner;

-) l’art. 199 c.p.p. il quale ha esteso anche al convivente more uxorio la facoltà di astenersi dal testimoniare nei procedimenti in cui sia imputato il proprio convivente;

-) l’art. 12 d. lgs. lgt. 27.10.1918 n. 1726, il quale riconosce il diritto alla pensione di reversibilità, a determinate condizioni, alla convivente del militare morto in guerra;

-) l’art. 1 l. 29.7.1975 n. 405, istitutiva dei consultori familiari, il quale prevede che al consultorio familiare possano rivolgersi per l’assistenza medica, psichiatrica e psicologica relativa al menage familiare non solo le famiglie, ma anche le “coppie” tout court;

-) l’art. 30 l. 26.7.1975 n. 354 (regolamento penitenziario), il quale prevede che ai detenuti possano essere rilasciati permessi speciali allorché versi in pericolo di vita o sia gravemente malato una personache coabitava con essi prima della reclusione;

-) l’art. 4 d.p.r. 30.5.1989 n. 223 (regolamento anagrafico), il quale stabilisce che “agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da (…) vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”;

-) l’art. 19 l. 29-12-1990, n. 408 (delega fiscale), il quale ha demandato al governo di tenere conto della convivenza di fatto nella determinazione del reddito familiare imponibile.

Dignità e rilevo giuridico alla famiglia di fatto sono stati riconosciuti anche da numerose decisioni del giudice delle leggi e di quello di legittimità, sia pure in materie diverse dal risarcimento del danno.

Vengono in rilevo, al riguardo:

-) Corte cost. 7.4.1988 n. 404, in Giust. civ. 1988, I, 165, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 co. I l. 27.7.1978 n. 392, nella parte in cui non prevede che il convivente more uxorio possa succedere nella titolarità del contratto di locazione, alla morte del conduttore;

-) Cass. 10.12.1994 n. 10927, in Inf. prev. 1994, 1502, la quale ha ritenuto che il lavoro subordinato svolto nell’ambito di una convivenza di fatto – in carenza di prove contrarie – deve essere disciplinato dall’art. 230 bis c.c.;

-) Cass. 22.4.1993 n. 4761, in Dir. fam. 1994, I, 846 ha ritenuto che la convivenza di fatto, iniziata dalla donna dopo la separazione od il divorzio, possa far venire il diritto della donna stessa alla corresponsione dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile, tutte le volte in cui la nuova convivenza in fatto esclude o riduce lo stato di bisogno.

Tutto ciò premesso, quindi, non è vera l’affermazione secondo cui il convivente non sarebbe titolare di alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della stabilità del rapporto che aveva con la vittima deceduta; la lesione di tale rapporto, pertanto, genera un danno risarcibile, in quanto “ingiusta” ex art. 2043 c.c.

Una domanda alla quale, però, dobbiamo necessariamente rispondere è:

quand’è che vi è “convivenza” rilevante dal punto di vista giuridico?

Beh, stando alla giurisprudenza più recente non basta fornire la prova della coabitazione tra vittima e superstite, ma occorre dimostrare che quella unione fosse loco matrimonii, e cioè presentasse tutte le caratteristiche tipiche del rapporto di coniugio (affectio coniugalis, stabilità, fedeltà, coabitazione, collaborazione agli oneri domestici, nascita di figli).

Tra questi elementi, la Cassazione ne indica uno che potrebbe forse suscitare qualche perplessità: e cioè “la durata della convivenza al momento del fatto dannoso”. Se la convivenza era iniziata da poco al momento del fatto illecito, ciò non è di per sé idoneo ad escludere il diritto al risarcimento, ma semplicemente addossa al sopravvissuto l’onere di dimostrare che quella convivenza si fondava su basi affettive tali da lasciarne presumere solidità e durevolezza nel tempo.

E’ controversa la risarcibilità del danno morale subìto dal concepito, in conseguenza della morte del padre avvenuta durante il periodo della gestazione.

Di questo si parlerà nel prossimo articolo.

1: Relazione afferente l’ incontro su L’illecito civile e la famiglia ” di M. Rossetti

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